Che effetto fa la vista dei resti umani al museo?

Una ricerca analizza le opinioni dei visitatori sulla loro esposizione, tra dubbi etici e retaggi storici scomodi.

Nicole Crescenzi | dottoranda in analisi e gestione dei beni culturali, Scuola IMT Alti Studi Lucca
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Il presidente dell’American Museum of Natural History di New York, Sean Decatur, prima persona afroamericana a ricoprire questo ruolo, ha annunciato pochi mesi fa la decisione di eliminare dalle esposizioni del celebre museo tutti i resti umani – scheletri, strumenti, manufatti, gioielli realizzati con ossa umane, acquisiti a partire dall’Ottocento e fino agli anni Quaranta del Novecento – e di cambiare il modo in cui vengono gestiti. Il motivo di questa decisione può essere rintracciato in un dibattito che è sempre rimasto un po’ nelle retrovie, sia in ambito accademico, sia ancora di più per quel che riguarda l’opinione pubblica generale, ma che da qualche anno suscita interesse in molti paesi, Italia inclusa. 

In generale, la questione è legata al contesto culturale – l’epoca coloniale, con i suoi tentativi di dare una giustificazione scientifica all’esistenza di una gerarchia razziale – in cui quei reperti furono acquisiti dai musei, fino ai dubbi etici sulla liceità di esporre resti acquisiti senza alcun consenso e all’opinione e percezione del pubblico, mai veramente indagata. Nonostante venga solitamente dedicata maggiore attenzione ai resti umani legati al passato coloniale europeo e alla gestione delle richieste di restituzione, inizia a emergere anche il dibattito sui potenziali problemi etici relativi all’esposizione nei musei dei resti umani archeologici. Il progetto Ethical Entanglements, focalizzato soprattutto sul contesto svedese, per esempio, investiga le pratiche e le linee guida di vari musei, oltre all’attuale legislazione svedese, per cercare di far emergere i valori etici che guidano le varie scelte. L’antichità dei resti, l’assenza di comunità di origine e di parenti ancora in vita, e la sensazione dei professionisti museali che il pubblico si aspetti comunque di vedere resti umani esposti sembrano essere le motivazioni principali che portano a superare i possibili dubbi. E se da una parte è possibile che sia davvero così, dall’altra ciò che manca è la diretta inclusione dell’opinione del pubblico museale nel dibattito, e un network tra i vari musei europei che permetta un confronto.

La mia ricerca, condotta alla Scuola IMT sotto la supervisione della professoressa Maria Luisa Catoni, a partire dal 2019, inizia a dare indicazioni in questo senso. I primi dati sono stati ottenuti grazie a un questionario condotto online, come già raccontato in questo articolo. Attualmente il progetto ha iniziato a investigare le opinioni dei visitatori  “a mente fresca”, ovvero subito dopo la visita. Una prima sessione di questionari è stata condotta all’Historiska Museet di Stoccolma, dove sono per esempio esposti i resti di soldati caduti in una battaglia di epoca medievale, e in una settimana sono state raccolte più di novanta risposte. Dalle prime analisi di queste risposte (il progetto proseguirà con la somministrazione del questionario in altri musei selezionati) è già stato possibile osservare che se la maggioranza dei visitatori apprezza la possibilità di osservare i resti umani, alcuni si interrogano sull’eticità di tali scelte e sulle loro motivazioni, e sono inclini ad aprire una discussione o a mettere in dubbio le proprie convinzioni sull’argomento.

Un altro aspetto che emerge dall’analisi del questionario online è che ci sono tipologie di resti ritenute “più etiche” da esporre rispetto ad altre. Questo risultato è stato ottenuto tramite l’incrocio delle risposte alla domanda “Quali resti credi non presentino problemi etici se esposti?” con un modello che inserisce i resti in uno spettro che va da “oggetti di scienza” a “vite vissute”. Le categorie ritenute “più etiche” sono quelle che più si avvicinano all’estremità “oggetti di scienza” dello spettro e comprendono, per esempio, i resti umani antichi, ma anche copie, calchi, stampe e scansioni 3D. Un’indagine più approfondita, portata avanti nel corso del lavoro di ricerca ha mostrato però come anche queste tipologie, apparentemente non problematiche, presentino invece tutta un’altra categoria di potenziali complicazioni da tenere presenti: chi ha la proprietà dei dati digitali necessari per creare le stampe 3D? Come gestire la necessità degli originali per creare le copie, i calchi o i dati digitali? Come rispettare il principio di ricerca FAIR (Findable, Accessible, Interoperable e Reusable) richiesta dall’Unione Europea, quando la condivisione di dati permetterebbe a chiunque con una stampante 3D di crearsi in casa delle copie di resti umani?

L’American Museum of Natural History di New York citato all’inizio ha nella sua collezione circa 12mila resti umani. Tra quelli da restituire ce ne sono circa 2mila di Nativi Americani, che secondo la legge federale conosciuta come NAGPRA (Native American Grave Protection Repatriation Act), promulgata nel 1990, già da tempo avrebbero dovuto essere tolti dalle collezioni. I motivi per cui questo non è avvenuto, sia nel caso del museo newyorkese, sia di molti altri musei negli Stati Uniti, sono diversi. Tra quelli più di frequente citati dai professionisti museali c’è la mancanza di fondi e di personale che permettano le ricerche necessarie a rintracciare l’effettiva comunità di origine. Non solo negli Stati Uniti, ma anche in diversi paesi europei, le richieste di restituzioni di resti umani sono state avanzate a più riprese nel corso degli anni, sia da parte di popolazioni indigene (per esempio i Sami) o di ex-colonie (per esempio la richiesta da parte del Sudafrica dei resti di Saartjie Baartman, la donna di etnia khoikhoi esibita in Europa quando era ancora in vita, ed esposta dopo la morte fino alla restituzione, avvenuta nel 2002). Ma, come già detto, il dibattito anche culturale che accompagnava queste leggi era sempre rimasto in sordina. A dimostrazione che il clima sta cambiando, in Italia, nel 2022 sono state pubblicate le prime linee guida dedicate. La Svezia già nel 2020 aveva pubblicato linee guida nazionali riguardo il trattamento e l’esposizione dei resti umani e i processi di restituzione. La Francia ha invece approvato pochi mesi fa una legge sulla restituzione dei resti umani. Inoltre, dopo lunghe lotte, nel 2022 è passata la legge riguardo la protezione delle sepolture degli Afro-Americani, African American Burial Grounds Preservation Act. Il dibattito riguardo i resti umani e la loro presenza nei musei, anche se lontano dalla conclusione, è vivo e si sta imponendo anche all’opinione pubblica.

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