Vaccini: fidarsi degli esperti non equivale a dar loro retta

Uno studio conferma che il pubblico ha fiducia nella scienza, ma ha bisogno di essere ascoltato.

Andrew Brookes/AGF

La fiducia negli scienziati è aumentata durante la pandemia, come riporta lo studio internazionale Wellcome Global Monitor 2020 su come Covid-19 abbia influenzato la percezione della scienza da parte delle persone. Ma esperti e medici sono la figura più adatta a convincere le persone a vaccinarsi? È la domanda da cui prende spunto una ricerca condotta da ricercatori italiani della Scuola IMT Alti Studi Lucca, dell’International Security and Development Center di Berlino, e delle università di Helsinki, Trento e Vita-Salute San Raffaele di Milano, e i cui risultati sono stati pubblicati recentemente sulla rivista Vaccine.

Secondo lo studio, il debunking, ossia confutare convinzioni false o antiscientifiche,da parte degli esperti è in grado di influenzare la propensione alla vaccinazione, ovvero di far aumentare l’intenzione dichiarata di vaccinarsi e di ispirare una opinione positiva nei confronti della capacità di protezione dei vaccini per sé e per gli altri. Nonostante ciò, lo studio non ha riscontrato un aumento significativo del numero di vaccinazioni in seguito ai messaggi degli esperti.

La ricerca

L’esperimento messo in piedi dai ricercatori si è focalizzato sull’Italia, e ha coinvolto 2.277 persone tra marzo e giugno 2021, nel pieno della campagna vaccinale contro Covid-19, che è stata un’occasione unica per testare l’utilità di interventi per incoraggiare le scelte di salute pubblica. I ricercatori hanno messo a confronto l’efficacia di messaggi informativi a favore della vaccinazione da parte di membri della comunità di esperti, rispetto ai messaggi veicolati da un pubblico generico di non esperti. Il campione è stato diviso in due gruppi, uno sperimentale e uno di controllo. A intervalli di dieci giorni, per un totale di sette volte, i ricercatori hanno registrato lo stato vaccinale dei due gruppi, la loro intenzione di vaccinarsi e la loro opinione sulla capacità del vaccino di proteggere gli altri e loro stessi.
Al termine di ogni indagine, ai partecipanti venivano mostrati dei messaggi informativi che potessero rispondere a dubbi sulla vaccinazione emersi precedentemente dai partecipanti stessi. Per il gruppo sperimentale, i messaggi venivano presentati come sostenuti dalla maggioranza della comunità di medici e scienziati, mentre per il gruppo di controllo come sostenuti dalla maggioranza di un gruppo di non esperti. Le informazioni raccolte dai ricercatori nell’intervallo successivo servivano quindi a testare l’efficacia dei messaggi precedenti in base alla loro presunta fonte.

Perché non ci si fida?

“Nonostante spesso si senta di dire il contrario, lo studio ci mostra che l’opinione degli esperti viene ascoltata, soprattutto se viene presentata come consenso di un gruppo di persone esperte e non come l’opinione di un singolo”, afferma Folco Panizza, ricercatore dell’unità di ricerca MoMiLab – Molecular Mind Laboratory della Scuola IMT, tra gli autori dello studio. Il problema è che l’ascolto non si traduce in modo immediato in azione, ovvero nel sottoporsi al vaccino. Anche se lo studio non fornisce indicazioni conclusive su come convincere gli indecisi, i ricercatori ci forniscono informazioni sull’approccio e lo stile della comunicazione che dovrebbero adottare gli esperti. Spesso le campagne vaccinali e sanitarie partono dall’idea che esista un certo problema – per esempio un allarmante aumento di mortalità nella popolazione a causa di un virus – e cercano di convincere le persone a risolverlo in un certo modo, per esempio vaccinandosi. Si dovrebbe invece procedere al contrario. “Dobbiamo prima capire se le persone pensano che esista veramente un problema, quale sia, e che cosa le disincentiva dal cercare di affrontarlo o risolverlo” continua Panizza. “È necessario quindi partire dall’ascolto delle preoccupazioni e dei dubbi delle persone per rendersi conto di quali sono le difficoltà nell’aderire o meno a una campagna come quella vaccinale”.

Nuovi stili di comunicazione


Il quadro è comunque tutt’altro che semplice. Un’ulteriore ricerca condotta dagli stessi ricercatori nel Regno Unito ha dato esiti del tutto diversi: l’opinione iniziale dei partecipanti non è stata per nulla scalfita dalle informazioni fornite. Quel che è certo, secondo i ricercatori coinvolti nella ricerca, è che la comunicazione istituzionale dovrebbe aumentare e concentrare gli sforzi per rispondere alle preoccupazioni dei cittadini esitanti sui possibili effetti collaterali della vaccinazione. Dato che medici e scienziati non sono necessariamente formati sulla comunicazione, sarebbe utile che le istituzioni instaurassero collaborazioni efficaci con chi è invece esperto nella comunicazione. Si è visto nel caso della pandemia. “L’atteggiamento poco dialogante di certe figure, mescolato ai protagonismi e i vari distinguo che abbiamo sovente ascoltato in talk show televisivi, ha contribuito a produrre una percezione della ricerca scientifica poco propensa all’ascolto e molto più frammentata di quanto non sia in realtà”, conclude Panizza.

Marco Maria Grande

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