Mi piace perché è bello, o è bello perché mi piace?

Uno studio indaga sui fattori che influenzano l’apprezzamento estetico dell’arte.

Che cosa rende “bella” un’opera d’arte? Un quadro è bello in sé, perché possiede caratteristiche universali che lo fanno apprezzare, oppure a farci valutare positivamente un’opera è un “nonsoche” diverso per ciascuno di noi? È uno dei grandi interrogativi irrisolti sull’esperienza estetica e l’apprezzamento dell’arte, su cui ormai da alcuni decenni si stanno misurando anche le neuroscienze. Il tentativo è capire, utilizzando tecniche e strumenti tipici dello studio della psicologia e delle scienze cognitive, in quale misura l’esperienza individuale soggettiva, oppure aspetti intrinseci di un’opera, la rendano attraente per le persone. Lo studio condotto da Adam Reynolds e Emiliano Ricciardi, ricercatori del MoMiLab della Scuola IMT, aggiunge un contributo proprio a questo filone di ricerca. 

Per affrontare la domanda, i ricercatori hanno chiesto a un gruppo di oltre 400 persone di esprimere sia il loro gradimento estetico sia le emozioni suscitate da un campione di oltre mille opere, in particolare quadri appartenenti alla storia dell’arte dal Rinascimento all’arte contemporanea. “La ricerca ha avuto inizio nel periodo della pandemia, un ‘limite’ che in realtà si è rivelato un vantaggio”, spiega Reynolds, dottorando in neuroscienze alla Scuola IMT, e autore dello studio. “Nell’impossibilità di condurre esperimenti con le persone dal vivo, mostrare le opere online ci ha permesso di raccogliere i giudizi di alcune centinaia di persone su un numero imponente di opere, fatto non comune per questo genere di studi”.

Sono state selezionate complessivamente le opere di 406 artisti, appartenenti ai generi e agli stili più disparati, dal barocco all’impressionismo, dal classicismo al cubismo. I soggetti dei dipinti variavano tra scene, ritratti, paesaggi, forme astratte, mentre non sono stati presi in considerazione arti visive diverse dalla pittura, per esempio graffiti, arte digitale, illustrazione o calligrafia. I partecipanti, di fronte alle opere presentate al computer nella stessa misura e formato, dovevano esprimere quali emozioni suscitava l’opera scegliendo da una lista di 35, per esempio gioia, tristezza, malinconia, rabbia, paura, adorazione, oppure “niente”, e dare un giudizio sull’intensità dell’emozione provata e su quanto l’opera piaceva, e se la conoscevano già. 

In precedenza, le opere d’arte erano state classificate secondo le loro proprietà formali, ovvero secondo i criteri che la letteratura in materia associa alla piacevolezza di un’opera, per esempio la simmetria, il rispetto del numero aureo (la particolare proporzione che renderebbe un’immagine armoniosa), o ancora i colori e la loro intensità, le forme curve (di solito preferite rispetto agli spigoli) e così via. L’analisi dei risultati ha mostrato che l’apprezzamento per l’arte dipende solo in misura minore dagli aspetti formali delle opere, mentre è molto più legata alle emozioni che suscita. Ma il legame con le emozioni, a quel che risulta dallo studio, è molto soggettivo: non ci sono emozioni specifiche associate al giudicare bella un’opera d’arte, anche se il sentimento di ammirazione, di calma o, al contrario, di confusione, sembrano quelli che con maggiore probabilità prova chi ha giudicato bello un dipinto. Insomma, anche l’esperienza emotiva associata all’attrazione per un’opera d’arte è altamente soggettiva.

Ci si chiede anche se la cultura, la familiarità con un certo tipo di espressione artistica, possa influenzarne la percezione e l’apprezzamento. “Possiamo rispondere di sì, ma in maniera opposta a quello che ci saremmo aspettati. La maggior parte delle opere mostrate appartenevano alla tradizione europea, e ad esprimere l’apprezzamento più alto sono state invece le persone di cultura non europea”, osserva Reynolds.   

“Il nostro studio supporta l’idea che l’esperienza estetica di fronte all’arte sia altamente soggettiva, e non guidata da elementi visivi formali. Anche se può darsi che da un punto di vista biologico l’evoluzione ci faccia preferire degli aspetti formali specifici, l’esperienza individuale modifica queste preferenze innate”. Insomma, come recita il detto, la bellezza è nell’occhio di chi guarda. 

Chiara Palmerini

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